Corpi che diventano sculture; sogni e incubi che strutturano la trama della realtà; visioni che diventano proiezioni; la vita che diventa un palcoscenico e la finzione scenica che s’insinua nelle pieghe della vita reale; verità, verosimiglianza, simulazione e finzione; la fotografia che incontra la scultura, la pittura, la computer grafica, la scenografia, l’installazione, l’azione.

Partendo da questi elementi Antonio Managò e Simone Zecubi, in arte J&PEG, riproducono il mondo, consegnandoci un inquieto universo popolato di fantasmi e allegorie, assemblando modelli iconografici desunti dalla storia dell’arte, dalla mitologia, dalle religioni, da antichi e nuovi miti e riti; fondendo pezzi di mondo, frammenti di visioni, fatti di cronaca, stati dell’essere, in un grande atemporale puzzle, disseminato di incongruenze visive e sorprendenti fantasmagorie.

Imbattersi nelle loro fotografie è come entrare in una dimensione parallela, sospesa tra sogno e realtà. Può capitare di essere catturati ora dalla nitidezza dei dettagli delle composizioni fiamminghe, ora dallo splendore cromatico delle serigrafie wharoliane; o smarrirsi in talune opere che sembrano concepite a cavallo tra gli incubi lucidi del Giudizio Universale di Hieronymus Bosch. I due artisti scompongono e rimescolano gli elementi dell’atto creativo nelle loro opere, fondendo la materia, la forma, la finalità e il fare manuale; anticamente le quattro cause del concetto aristotelico di téchne, cioè la capacità dell’uomo di creare e produrre opere.