Gli scenari di Nicola Pucci hanno la tenacia narrativa dei romanzi metatemporali. Sono ambienti densi di energia, esistenti ma astratti nell’essere palcoscenico per fulminei incontri ravvicinati. Danno forza ai corpi e prendono forza dai soggetti in campo, diventando quinte kubrickiane di un fermo-immagine tra Giacomo Balla e René Magritte.

 

Del grande futurista Pucci richiama la gestione pittorica dei corpi dinamici, mentre del surrealista belga richiama le relazioni fuori scala tra figure e ambienti. Pucci unisce la continuità spaziale dell’azione con la frontalità di una scenografia realistica, giocando tra spinta (Futurismo) e compressione (Surrealismo), tra dinamismo e introspezione visionaria. Si veleggia sul filo lungo del costante mistero, dell’irrisolto metafisico, dentro un climax drammaturgico che sospende il giudice assieme al giudizio.

 

Così l’artista parla della sua pittura: “Osservo i comportamenti, m’interessano le cause che generano effetti, soprattutto sugli esseri viventi. Dall’osservazione scaturisce una nuova interpretazione della realtà in cui il possibile e l’improbabile si mischiano. Il movimento diventa elemento essenziale, focalizzato nel suo durante, ed è un moto senza compimento, un accadere senza succedere, pura sospensione di un gesto”.