Pino Pinelli è tra quegli artisti che, determinati a continuare comunque nel fare pittura, pone un punto fondamentale. Una teoria di cui viviamo ancora di rendita, e sembra proprio questa la ragione – aldilà dei flussi del mercato e di quelle che Gillo Dorfles ha chiamato “le oscillazioni del gusto” – per la quale le sue ricerche e quelle a lui coeve risultano oggi più che mai al centro dell’interesse storico-critico.

Per Pinelli, quindi, la condizione fondamentale e irrinunciabile del fare sta nella perfetta unione o sintesi tra l’estetica e l’etica. Egli non ha mai nascosto certo la personale propensione alla bellezza: forme eleganti e finite, perfetto controllo dello spazio, esecuzione sapiente che non esclude quel sapere artigiano che i minimalisti americani avrebbero rifiutato per ideologia, coinvolgimento pluri-sensoriale nella percezione dell’opera, a cominciare da quella sensibilità tattile retta su superfici vellutate, sensuali, coinvolgenti nella loro profondità.