Il mondo è come un enorme palcoscenico sul quale ognuno di noi recita una parte legata alla maschera che indossa. Chi tenta di togliersi la maschera viene giudicato dalla società come un folle – comportamento differente dalla convenzione pattuita tacitamente –, allontanato e respinto.
In questo volume l’autore divide i personaggi di Cipolla, sempre attraverso l’ausilio di una lettura interdisciplinare, in tre distinte categorie: maschere nude (con un palese riferimento a Pirandello), maschere del tempo e maschere di dolore. Le figure che appartengono al primo raggruppamento sono caratterizzate dalla perfetta aderenza della maschera con il volto: una recita sistematica a tal punto che conduce l’attore a credere di essere… vero. Ma con il passare degli anni, mentre la maschera continua a essere (essendo frutto della finzione) innaturalmente rilucente, il vero volto del personaggio consunto dal tempo non aderisce più come una volta. Ne scaturiscono delle maschere che non riescono più a nascondere, bensì manifestano una corrosione che, prim’ancora di intaccare l’epidermide… si è appropriata dell’anima della figura.
Con le maschere di dolore, Maurizio Vanni, sempre attraverso i personaggi di Cipolla, ci descrive quegli individui che si rendono conto, a un certo punto della loro vita, di aver vissuto un’esistenza non loro. La disperazione per questa scoperta è tale che potrebbe condurli alla vera follia (la stessa attribuita dalla società per i non omologati). Secondo l’autore, Cipolla ci indica la strada per intraprendere una nuova ricerca dell’essere, proponendoci di andare oltre la nostra ombra liberandoci, in questo modo, del nostro fantoccio vivente.