Un artista profondamente radicato nella pianura come Emilio Mattioli ha scelto il nitore come cifra stilistica della sua pittura: una pittura antica, lenta e puntigliosa, che egli ripete nel tempo, tornando con un’attenzione da entomologo sulle cose (frutti, verdure, oggetti, frammenti di carta), sempre composte in nature morte essenziali, in combinazioni di volumi che non conoscono penombra, ma giocano al trompe-l’oeil.

Uno sguardo analitico e cristallino, che ama impossessarsi soprattutto del paesaggio rurale, spingendosi in lontananza per definire la foglia immobile, la spiga, la tegola sbrecciata sul casale, come avrebbe fatto un pittore fiammingo ancora indifferente alle seduzioni della prospettiva leonardesca.

Un processo di osservazione e riproduzione del dato sensibile che si spinge fino al paradosso se, persino nel dipingere la nebbia, l’attenzione dello sguardo non si affievolisce mai e, nonostante lo sfaldarsi degli elementi, si concentra vigile sul primo piano per mettere a fuoco l’effetto di evanescenza. O un processo di analisi quasi lenticolare, come accade per i più recenti lavori, dove i dettagli di un albero secco divengono esaltate esibizioni di virtuosismo, che invitano a oltrepassare l’immagine d’insieme per entrare nelle fibre della materia.