Nel rapporto tra il divenire dell’opera, l’aprirsi del suo spazio all’ambiente, e la variazione-oscillazione delle percezioni nello spettatore-fruitore-attore, risiede la vera rivoluzione dell’esperienza estetica di Chiggio e Landi, e delle loro poetiche. In entrambi è presente una forte componente di interattività: quel quid irriducibile alla sola dimensione retinica che mette in scacco il retaggio estetico occidentale, orientato verso la priorità sensoriale dello sguardo.

 

Altra componente che accomuna le loro opere è il forte impianto tecnico-scientifico su cui si regge il loro lavoro, che distrugge la forma per accedere all’evento. Tensioni e contro-tensioni si affrontano e si sfidano, attraversando il loro lavoro dalla fine degli anni ’50 ad oggi. Reintrodurre la “tensione” all’interno dell’immagine – tensione come unica ed autentica garanzia di stimolo del pensiero – ci appare oggi come una delle caratteristiche e dei meriti più rilevanti dell’arte di Ennio Ludovico Chiggio e di Edoardo Landi.

 

Ciò significa ristabilire una zona di pensiero e riflessione nella frenesia incontrollata della contemporaneità, dove le immagini si fingono vive, urlando e dimenandosi. Quando l’immagine veramente vive, la tensione di cui si nutre si presenta a noi come un enigma: in esso possiamo forse ancora trovare il senso autentico dell’arte che – come scriveva Nietzsche – “non deve dare risposte, ma suscitare interrogativi”.