Mario Nuti entrò nel gruppo Astrattismo Classico, quello di Berti, Brunetti, Monnini e Nativi nel 1948, ma il suo percorso era iniziato nell’ambito figurativo, abbeverandosi a Masaccio, com’è ovvio, ma anche a Carena, Casorati, Vagnetti, Sironi. Insieme a Berti, Nuti aveva l’impianto figurativo più consistente e maturo degli altri di Astrattismo Classico.

Il suo periodo neocubista mostra una struttura solida che, nonostante le scomposizioni, lega saldamente l’immagine a un nucleo centripeto. Insomma, Nuti, come astratto, non poteva (o voleva) liberarsi della figura, e da figurativo non riusciva a dimenticare l’astrazione. Non che, per questo, la sua pittura fosse irrisolta o ibrida, anzi, alla fine ne risultò un accrescimento formale, un arricchimento sul piano non puramente teorico.

La sua pittura nasce dalla pittura, sempre, e non dagli assunti teorici, che pure a quell’epoca imperversavano, o dai dictat ideologici. Forse per questo, quando nel 1950 il gruppo si sciolse, il suo ritorno alla figura fu molto lento e meditato, transitando da un informale denso di materia, umori e imprecazioni a denti stretti.