Come poter immaginare il mondo silenzioso, senza segni, significanti o significato, e senza suoni interpretabili, se il nostro pensiero cosciente riflette su se stesso solo dopo aver acquisito una o più lingue e le logiche strutturali che ne regolano l’uso?

A partire da un quesito così radicale, David Reimondo si cimenta in una privata tabula rasa linguistica per ripensare un sistema segnico e fonetico, e rispondere così alla necessità intima di trovare un dialogo più diretto con se stesso: un’utopia consapevole con l’intento di creare nuove forme di linguaggio o di scoprire, forse, la nascita della parola nelle sue radici più profonde.

In questo esercizio di de-addestramento culturale, ovvero nel momento in cui si deve affidare a un significato un nuovo segno e un nuovo suono, diventa inevitabile il ragionamento con il proprio io. Se l’ideazione di un segno può apparire praticabile, inventare un suono significa invece sgretolare tutte le convenzioni acquisite, tutto ciò che si è appreso fin dalla nascita, nell’inconsapevolezza assoluta dell’apprendimento intuitivo.