Remo Remotti (Roma, 16 novembre 1924) è umorista, poeta, attore, pittore, scrittore, scultore, cantante, drammaturgo. Adesso, però, vi raccontiamo un Remotti che solo alcuni conoscono: un Remotti da studio, intimo solo perché l’arte visiva esige una solitudine, uno spazio concluso senza conclusioni affrettate, un cielo calpestabile in cui risuoni lo stridio alato dei materiali, dei colori, delle forme plastiche.

Gli esordi lo vedono alle prese con la pittura, in sintonia con gli andamenti tipici del Dopoguerra, tra imprescindibili scie informali e l’eco del Pop, in arrivo seriale sul mercato dello sguardo. I quadri giovanili risentono di voci gradualmente digerite: Remotti sembra ascoltare gli espressionismi del gruppo Cobra di Karel Appel e Asger Jorn, altre volte si orienta verso Mario Mafai e Scipione, in generale verso le gesta di una Scuola Romana dai caratteri irascibili e incendiari.

Su ogni visione mette qualcosa di personale, un’intimità urlante ma trattenuta, come se il colore fosse pronto a schizzare gocce su Roma, sulle sue ferite aperte, sulle rovine di una città decadente eppure ammaliante. È una pittura che lancia il grido attraverso figure che pescano dai ricordi adolescenziali, dai tramonti capitolini, dal Barocco e dai barattoli sugli scaffali, da officine e botteghe, mare e campagna, amici e conoscenti. La pittura è intrisa di frammenti privati, ricordi infantili, emozioni che il colore veste e poi spoglia, lasciando impronte che sono indelebili come tufo millenario. Mostra e catalogo festeggiano i 90 anni di Remo Remotti.