Bolognese di origine, Valerio Adami è un artista senza frontiere geografiche o intellettuali. Le sue frequentazioni con intellettuali, filosofi, scrittori e musicisti – da Chagall a Octavio Paz, da Buzzati a Calvino, a Carlos Fuentes, da Derrida a Lyotard, a Berio e Nono – hanno alimentato il suo linguaggio pittorico.

Collocato fra gli artisti che si sono affiancati alla stagione della Pop Art, Adami ha indirizzato il proprio talento su percorsi originali, che gli hanno spalancato le porte del Moma di New York, del Centre Pompidou di Parigi, di Documenta di Kassel, della Biennale di Venezia, del Palazzo Reale di Milano e di decine delle più prestigiose sedi espositive europee e americane.

Ora Adami approda a Ravenna e lo fa con una ricchissima mostra con catalogo che attinge ampiamente anche alle opere che ha voluto conservare e che documentano tutte le fasi della sua attività. Se Adami scrive che “disegnare è un modo di conoscere”, resta implicito che l’elaborazione grafica è la risultante di un sapere preesistente, diciamo pure di una memoria anche iconologica, continuamente rielaborata e investita di nuove e ulteriori significazioni.